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Prime Esperienze
Mia moglie Valeria - Dopo i 40 anni - Cambiamenti - Capitolo 5 - I preparativi
di Marta-trav
07.08.2020 |
10.641 |
3
"Alla mia destra, davanti a me ed alla mia sinistra c’erano solo scarpe da donna..."
Mi permetto di suggerire, a chi si sta apprestando a leggere le prossime righe, di farlo, qualora volesse, soltanto dopo aver letto i capitoli precedenti della storia.Si tratta, appunto, di un’unica storia.
Le caratteristiche dei personaggi, le loro mille sfaccettature, i loro desideri, tutto risulterà di più agevole lettura e comprensione.
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A proposito di foto.
“Ho deciso di giocare”, dissi, per telefono, a Elena.
“Ma dai?”, rispose. “Non avevo dubbi che avresti accettato la mia proposta”.
“Come non avevi dubbi? Guarda che io non farò mai quello che fai tu”.
“Si, certo Vale. Ok. Dai, quando vuoi vieni da me e ti metto in vetrina”.
Andai da lei il giorno dopo.
Anche stavolta venne ad aprirmi in reggiseno e mutandine.
Ma stavolta la lingerie indossata dalla mia amica era tremendamente sexy.
Elena indossava un reggiseno nero, con le coppe in tessuto completamente trasparente.
I suoi capezzoli erano lì, in bella mostra, duri ed in tiro.
La sua terza misura abbondante era sfacciatamente offerta, a chiunque se la fosse trovata davanti.
In quel momento, era offerta a me.
Per non parlare, poi, del pezzo di sotto.
Un micro perizoma, completamente trasparente anch’esso.
Una strisciolina di tessuto davanti, totalmente inutile. Tanto valeva non averla.
Oltre ad essere trasparente, era anche striminzita.
La sua passerina, completamente depilata, era chiaramente visibile sotto quella strisciolina di tessuto trasparente.
Per non parlare del retro.
Una sottilissima striscia di tessuto che spariva completamente nel meraviglioso culo di Elena, affogata nel solco delle sue chiappe, per riemergere in alto e congiungersi con un’altra sottilissima striscia di tessuto che le cingeva la vita.
“Aspettavi qualcuno?”, le chiesi.
“No, perché?”.
“Giri sempre conciata così per casa? Quel perizoma è come non averlo”, dissi, maledetta me.
“Hai ragione”, disse lei, sfilandoselo.
“Ma che fai, Elena!”, le dissi.
“Niente. Effettivamente quel filo in mezzo al sedere è anche un po’ fastidioso. Così va decisamente meglio”, mi disse sorridendo.
Io indossavo una t-shirt, una paio di jeans e le mie immancabili Converse All Star.
Elena era davanti a me, praticamente nuda.
Non potei non ammirarla in tutto il suo splendore. Una donna di 45 anni semplicemente…perfetta!
“Torno subito”, mi disse, sparendo, scalza, verso la sua camera da letto. “Accomodati pure”, gridò.
Mi sedetti sul divano.
Elena aveva una casa enorme.
Giulio non era mai in casa.
Lei viveva praticamente da sola il quel castello, in compagnia del suo gatto.
Più volte mi aveva confidato di prendere il sole sul terrazzo completamente nuda.
Ed in effetti sul corpo di Elena non c’era nessun inestetismo, nessun segno del costume, pur se era sempre inspiegabilmente e perfettamente abbronzata.
Elena non aveva nessun tatuaggio. A differenza mia che, solo per averne fatto uno, innocuo, sul piede, anni prima, mi sentivo addirittura più sfacciata di lei, almeno da questo punto di vista. Solo da questo.
Elena ricomparve subito. Sempre in reggiseno trasparente, senza sempre mutandine e con in più un paio di sandali rossi ai piedi, senza cinturini alla caviglia, con un puff vezzoso, rosso anche lui, sulla striscia di pelle che tratteneva le dita e con un tacco di almeno 12 centimetri.
Svestita così, si fermò a pochi metri da me, poggiandosi con la spalla allo stipite della porta, fissandomi negli occhi, con un’espressione piuttosto seria.
Rimasi a bocca aperta nel guardarla. Era incredibilmente bella e tremendamente sexy.
Cercai di non far trasparire alcuna emozione.
Non le chiesi perché avesse indossato quelle scarpe.
Ma in quell’istante mi venne in mente che l’ultima volta Elena mi aveva baciato sulle labbra e che mi aveva confessato che, con me, non si sarebbe tirata indietro. Da un punto di vista sessuale, intendo.
Pensieri a tinte fosche si fecero spazio nella mia testa…
“Continuo a dire che mi sembra tutta una scemenza. E che se tu fossi d’accordo, interromperei adesso questo teatrino. Io ti amo. Amo solo te. Non voglio perderti e vorrei tornare ad essere spensierati come lo eravamo qualche tempo fa”, mi disse.
“Credo che non sia più possibile, Valeria. Quel tuo errore, quello di non cancellare la cronologia, ha permesso di far uscire parti di noi che non conoscevamo. E che, tuttavia, ci rappresentano. Rappresentano quello che sentiamo, quello che desideriamo. Su questo non puoi non darmi ragione”, dissi a mia moglie.
“E quindi voglio andare avanti, con te. Non voglio rimpianti e voglio godermi quello che la vita ha ancora da offrirci, anche nel sesso. Anche io ti amo, Valeria. Ma non per questo voglio soffocare le mie, le tue, le nostre pulsioni”, continuai.
Volevo apparire sincero, determinato e convinto di quanto stessi dicendo.
La volevo mettere con le spalle al muro.
Ci riuscii.
Abbassò le sue difese e si arrese.
“Va bene Stefano, facciamolo”.
Avevo vinto.
Non sono lesbica, non sono lesbica, non sono lesbica, ripetevo dentro di me come un mantra.
Ed allora perché ero così turbata da quello spettacolo che Elena mi offriva?
Elena, così disinvolta e così disinibita.
Elena, completamente nuda e incredibilmente bella.
Si sedette accanto a me.
“Vale, tutto bene?”, mi chiese.
“S-si, perché?”, biascicai io.
“Non so, mi sembri nervosa. Non ci avrai mica ripensato?”, lei.
“A c-cosa?”, io.
“Come a cosa? Alla tua iscrizione sul sito, no? Al tuo ingresso in pompa magna in questo mondo meraviglioso!”.
“Ah, a q-quello, ti r-riferisci. No, non ci ho r-ripensato”.
“Certo che sei strana oggi”.
No, non sono strana. Sono turbata.
Ho accanto a me la mia migliore amica, completamente nuda (quel reggiseno era come non averlo), in tacchi a spillo, con la quale sono venuta a parlare di sesso, che mi ha già baciata e mi ha detto (scherzando?) che farebbe sesso con me…e mi dice che mi vede strana.
Nella mia pancia si stavano facendo strada sensazioni mai provate, completamente nuove.
Uno strano formicolio mi avvolgeva la zona dell’inguine.
Le mie mutandine erano bagnate.
Mi stavo eccitando!
Elena mi stava facendo eccitare!
Non sono lesbica, non sono lesbica, non sono lesbica…
Dovevo alzarmi e fuggire da quella casa. Subito.
Dovevo interrompere quel momento carico di tensione.
Temevo di sentire, da un momento all’altro, una mano di Elena che mi toccasse, da qualche parte.
Lo temevo…lo desideravo.
Non sono lesbica, non sono lesbica, non sono lesbica…
“Vieni con me”, mi disse Elena, con voce infinitamente calda e suadente, alzandosi e prendendomi per mano.
Ecco, mi ha toccata.
“Dove a-andiamo?”, le chiesi.
“Di là, in camera da letto”, rispose.
Le gambe mi tremavano. Mi cedettero improvvisamente, rischiai quasi di cadere.
Sentivo il mio cuore rimbombare per tutto l’appartamento.
Com’era possibile che Elena non lo sentisse?
In camera da letto?
“Scappa Valeria”, disse la parte razionale del mio cervello.
“Zitta tu!”, controbatté quella emotiva.
“Oh Vale, ma che cavolo hai oggi?”. La voce di Elena era tornata normale, allegra e spensierata.
“N-niente, te l-l’ho già d-detto”.
“A me sembri veramente strana”.
Mi teneva per mano. Camminavamo affiancate. Percorremmo il lungo corridoio ed arrivammo in camera da letto, l’ultima porta sulla destra.
Entrammo.
“Siediti e preparati. Ti piacerà tutto, vedrai. Impazzirai anche tu”, disse Elena, felice come una bambina.
Mi sedetti sul letto, oramai rassegnata.
Elena si allontanò da me, si piegò, mostrandomi completamente il suo culo, semplicemente straordinario ed aprì il primo cassetto del comò, lo sfilò completamente dalle guide e rovesciò tutto il contenuto sul letto.
“Cosa fai?”, le chiesi.
“Io niente. Sei tu che devi trasformarti. Io posso solo darti qualche consiglio, da esperta”, disse sorridendo.
Capii all’istante.
Che cretina che sono stata! Ad immaginarmi un film, quel film, nella mia testa.
Avevo i capezzoli turgidi, ben nascosti dalla t-shirt abbondante e brividi di piacere.
Ma Elena, almeno per il momento, non aveva nessun interesse, come dire, intimo, nei miei confronti.
Voleva solo che cambiassi look.
Che abbandonassi jeans, t-shirt e scarpe da ginnastica.
E che diventassi come lei. Almeno per un po’.
“Dai, ti aiuto a scegliere”.
E così dicendo sparpagliò meglio sul letto il contenuto di quel cassetto, pieno di reggiseni, di tutti i tipi, audaci e meno audaci.
“Secondo me non dovresti nemmeno indossarlo. Hai delle tette bellissime. Mostrale!”, mi disse.
Ce l’avevo fatta. Era stata dura. Ma Valeria, alla fine, aveva ceduto.
Qualcosa, dentro di me, mi diceva tuttavia che Valeria desiderava moltissimo quello che a me aveva voluto far credere che fosse contrario ai suoi principi.
Qualcosa mi diceva che mia moglie morisse dalla voglia di trovarsi, veramente, a mettere in pratica le sue (che poi erano anche le mie) fantasie.
Qualcosa mi diceva che quelle che sembravano paure potessero trasformarsi, o forse si erano già trasformate, in qualcosa di più di semplici desideri, quasi in speranze. In realtà.
Valeria, con quel “ok, facciamolo”, si era definitivamente arresa.
Sapevo che, ormai, avrei potuto condurre il gioco senza trovare altri ostacoli.
E mi misi subito all’opera.
Recuperò in fretta e furia tutto quello che aveva gettato sul letto, solo reggiseni a dire il vero, e lo rimise nel cassetto. Lo afferrò e lo reinserì nelle guide del comò.
Aprì il cassetto immediatamente sotto e disse “Neppure qui c’è qualcosa che ci può servire”. E lo richiuse.
“Perché, cosa c’è in quel cassetto?”, le domandai.
“Niente di utile per noi. Mutandine, perizomi, tanga. Cose così”.
“Come niente di utile? Il reggiseno no, le mutandine no. Quindi?”, chiesi.
“E quindi prenderemo qualcosa dall’ultimo cassetto e qualcos’altro dall’armadio”, disse Elena.
L’ultimo cassetto conteneva autoreggenti, collant aperti e reggicalze.
“Ma Elena, vuoi che indossi solo autoreggenti per farmi le foto?”.
“No, certo. Indosserai anche i tacchi a spillo, ovvio. E anche qualcos’altro”, mi disse con aria sorniona.
Non capii a cosa potesse riferirsi.
“Dai, spogliati”, mi disse.
“Eh?”, dissi io.
“Spogliati. Come vuoi fartele queste foto?”.
“Non ci penso nemmeno!”, dissi. “Mi presti quello che mi serve e me ne vado a casa mia”, conclusi.
“Ma dici sul serio?”.
“Certo che dico sul serio. Ma secondo te adesso mi spoglio qui, davanti a te, indosso autoreggenti e tacchi a spillo e mi faccio fotografare?”, le chiesi.
“Ovvio”.
“Ovvio per te, non per me”.
“Oh Vale, fai un po’ come ti pare. Secondo me non riuscirai da sola a farti delle belle foto. Non è facile”.
“Ci proverò”.
“Vabbè, fai come vuoi. Io proprio non ti capisco. Almeno provati le scarpe. E’ vero che dovremmo avere lo stesso numero, ma provane qualcuna”.
“Ok”, le concessi.
Elena. La mia amica Elena.
Fino a vent’anni ci siamo frequentate assiduamente. Poi io ho iniziato ad uscire con Stefano e ci siamo allontanate un po’.
Durante l’adolescenza abbiamo vissuto in simbiosi. Il sabato sera si dormiva da me o da lei. Sempre.
Da me si dormiva in letti singoli. Da lei, invece, nel suo letto da una piazza e mezza.
Da lei dormivamo spesso abbracciate.
Tuttavia con Elena non avevo mai fatto quelle esperienze che, normalmente, si fanno a quell’età, tra amiche.
Parlavamo spesso di ragazzi e di sesso. Lei molto meno bigotta di me.
Ma non ci siamo mai toccate a vicenda. Non abbiamo mai confrontato le tette. Non abbiamo mai provato a baciarci (come allenamento, prima di farlo con qualche ragazzo e non essere completamente imbranate).
Dopo il mio matrimonio con Stefano ci siamo ulteriormente allontanate. E con l’arrivo del nostro primo figlio Elena è sparita completamente dal nostro raggio d’azione.
Matrimonio, figli, pappine, tutti concetti che Elena rifuggiva come il veleno.
Da sempre refrattaria ai legami, alla fedeltà, ai sentimenti stabili e duraturi.
E così, mentre io allargavo la famiglia e facevo le vacanze in Liguria o in Romagna, Elena allargava le gambe saltando da un fidanzato all’altro e faceva le vacanze in Sardegna, in Costa Smeralda, tanto per rimanere in Italia.
Solo dopo che i miei figli sono cresciuti, siamo tornate a sentirci ed a vederci spesso, fino a quel giorno che mi ha confidato che si sarebbe sposata.
“Tu? Sposata? E con chi?”, le domandai quel giorno.
“Con un bel conto in banca”, mi disse lei.
“Ma almeno lo ami?”
“Uh, Vale, che paroloni. Ha venti anni più di me. E’ un bell’uomo, certo. Ma soprattutto è ricco”.
“Ho capito, non lo ami”, dissi.
Occhietto e sorriso di Elena confermarono le mie ultime parole.
“Andremo a vivere in un bellissimo attico, sulla collina”.
Proprio quell’attico dove mi trovavo io in quel momento.
Con accanto a me Elena. Nuda. Meravigliosa.
Elena, una donna di 45 anni.
Una cascata di capelli castani, né lisci, ne ricci.
Occhi verdi, zigomi alti, bocca carnosa ed un naso che non le è mai piaciuto. Ma che dava autorevolezza e determinazione ad un viso dall’ovale perfetto.
Un seno da andarne orgogliosa, assolutamente vincitore nella continua lotta contro la gravità.
Vita stretta, fianchi larghi, culo…beh, indubbiamente il pezzo più pregiato dell’opera d’arte che era Elena, il piatto forte di un menù già oltremodo succulento.
Gambe affusolate, tornite e lunghissime.
Nessun tatuaggio, nessun neo, nessuna imperfezione.
Una serie di coincidenze e una buona dose di fortuna hanno fatto sì che in Elena si creasse un concentrato di femminilità, di seduzione, di erotismo e di fascino pronto ad esplodere in qualunque momento ed a travolgere tutto e tutti.
E lei ne ha sempre saputo approfittare. Non lesinando mai sulle sue virtù e sempre generosa nei confronti dei suoi numerosi amanti.
Ma è dopo il matrimonio, da quanto avevo scoperto da poco, che Elena aveva veramente iniziato a darci dentro, completando l’affresco che già la rendeva straordinaria, diventando una donna tutt’altro che irraggiungibile, aperta a tutto e a tutti e con quel mix di disponibilità e sfacciataggine che facevano impazzire gli uomini.
Ora era accanto a me.
I miei occhi, durante quel pomeriggio, si erano intrattenuti, più volte e per più tempo del dovuto, sulla sua patatina, perfettamente depilata e con tutte le labbra vaginali sempre un po’ schiuse.
Mi violentavo per non farlo, ma lo sguardo, contro la mia volontà, finiva sempre dentro quella cavità, colorata di un rosa vivo, che mi veniva offerta alla vista, molto probabilmente in maniera inconsapevole. O forse no.
Continuavo a chiedermi perché Elena avesse voluto sfilarsi il perizoma ed infilarsi i tacchi a spillo ai piedi.
Forse mi dispiaceva addirittura che non avesse fatto ciò che ormai mi sarei aspettata da lei quando mi ha chiesto di seguirla in camera da letto.
Il mio corpo vibrava.
Il metro e settanta di donna che era accanto a me, tremendamente sexy nella sua nudità, non era più la mia amica. Era il mio banco di prova.
Che lei lo avesse voluto o meno, mi stava sottoponendo ad un esame.
Stava a me decidere se superare o meno quella prova.
“Non posso fare sesso con la mia migliore amica”, pensavo in quel momento. “Non posso neppure far finta che la cosa mi sia indifferente, però”.
La mia patatina si contraeva spontaneamente sotto i pantaloni.
Le mie mutandine era completamente zuppe.
Ci pensò Elena a riportarmi alla realtà.
“Vieni, andiamo”, mi disse.
Mi prese per mano e mi fece entrare nella sua cabina armadio.
Aprì una porta vicino all’armadio, si accese automaticamente una luce all’interno e mi ritrovai in una stanza di tre metri per tre.
Sulle tre pareti libere erano montate solo scarpiere.
Ogni scarpiera partiva dal pavimento ed arrivava al soffitto.
Alla mia destra, davanti a me ed alla mia sinistra c’erano solo scarpe da donna. Tutte, ma proprio tutte, con il tacco alto. Altissimo in alcuni casi.
Rimasi sbalordita ed a bocca aperta.
“Belle, vero?”, disse Elena.
“Non credo a quello che vedo!”, dissi io. “Ma saranno almeno 100 paia!”.
“Forse di più”, mi corresse Elena.
“Ma hanno tutte il tacco altissimo!”, gridai quasi.
“Oh, Vale, sono una donna, te lo ricordi?”.
Mi voltai verso di lei.
“Anche io lo sono. Ma io credo di avere un solo paio di scarpe con il tacco alto. E le metto solo nelle cerimonie importanti”, replicai.
“Che dolce che sei”, disse lei. “Dai, scegli quelle che ti piacciono di più e provale”.
Afferrai a caso un paio di decolleté beige, chiuse davanti, tacco almeno 10 centimetri.
“Ecco Valeria, quelle proprio no. Ma hai capito a cosa ti servono? Devi strabiliare! Gli uomini dovranno desiderarti. Dovrai apparire dominante. Dovranno strisciare ai tuoi piedi”.
“E quindi?”, chiesi.
“Tieni, prova queste”.
Mi passò un paio di sandali neri, lucidi. Avranno avuto un tacco di almeno 15 centimetri ed un plateau di almeno 4 o 5 centimetri.
Avevano due strisce di pelle nera, lucida, parallele, dove infilare le dita ed altre due strisce di pelle nera, lucida, parallele, da avvolgere alle caviglie ed allacciare con il cinturino.
“Non saranno troppo…estreme?”, domandai.
“Estreme? Vale, gli uomini sono tutti feticisti, chi più, chi meno. Adorano i nostri piedi. Li vogliono vedere esibiti. Vogliono vederli smaltati di rosso. Poi ti racconto quello che ho fatto con i miei piedi e quello che alcuni uomini amano fare ai miei. Alcuni uomini sono proprio strani, sai?”.
Perché, cosa si può fare con i piedi? Lo pensai, ma non glielo domandai.
Uscimmo dalla cabina armadio con tre paia di scarpe, quelle che secondo Elena erano adatte per me.
Mi sedetti sul letto per provare le prime che aveva scelto.
Slacciai le All Star e le tolsi.
“Vale, ma tu vesti sempre così? Lo faresti diventare moscio anche a Rocco Siffredi!”, mi disse, ridendo.
So che non voleva offendermi. Ma un po’ ci rimasi male lo stesso.
Sapevo di non poter competere con Elena. Ma sapevo anche che portavo bene i miei 45 anni.
In quel momento presi la decisione di provare ad essere come lei, seppur solo per gioco.
Mi tolsi i fantasmini ed indossai quelle scarpe.
Il numero andava bene.
“Perfetto”, disse Elena.
Mise le tre paia di scarpe dentro un’elegante busta di stoffa.
E ci infilò dentro pure una decina di confezioni, ancora da aprire, di autoreggenti. Velate e a rete. Tutte rigorosamente nere.
“Ok, grazie allora”, dissi.
“Mica abbiamo finito!”, disse invece lei.
“Perché?”, chiesi.
“Vieni, apriamo l’armadio”.
Lì dentro c’erano una serie di scatole in cartone, quelle per indumenti, che normalmente si usano per fare il cambio di stagione.
Elena ne prese un paio e le poggiò sul letto.
Le aprì contemporaneamente e ne svelò il contenuto.
“Ta-tan!”, disse.
Sex-toys, oggettistica varia, manette e guinzagli, vibratori singoli e doppi, palline anali e vaginali, plug di tutte le dimensioni, falli realistici di tutte le misure e di tutti i colori, pinzette per capezzoli, sculacciatori, e tanta, tanta altra roba.
“Ma Elena!”.
“Cosa?”.
“Come cosa! Ma che ci fai con questa roba?”.
“Sicuramente non il brodo. Oh Vale, che vuoi che ci faccio? La uso!”.
“Tu sei matta!”, dissi. “E poi, scusami, ma tieni tutto qui, a portata di mano? E Giulio?”.
“Giulio sa tutto. E poi lui non dorme quasi mai in questa camera. Qui c’è solo roba mia. Tieni, prendi questi”.
E così dicendo mi infilò un po’ di oggettini dentro la busta di stoffa.
“Ora dovresti avere tutto”, mi disse.
“Forse anche troppo”, risposi.
Mi rimisi le scarpe, afferrai la busta e mi avviai verso la porta di casa.
Quella battuta di Elena sul cazzo di Rocco Siffredi mi aveva indispettita.
Le avrei fatto vedere che, invece, sarei stata in grado di non farglielo ammosciare.
Ma non le dissi niente. Non in quel momento.
Arrivai all’ingresso, afferrai la maniglia e aprii la porta di casa.
“Vai via così, senza neppure salutarmi?”, mi disse, con voce dispiaciuta.
Mi voltai.
Elena era in piedi, con le braccia conserte, con le gambe unite, la sinistra leggermente flessa, con l’aria imbronciata e si mordicchiava un labbro. Era seducente.
Non potei fare a meno di guardale ancora una volta la figa, sempre schiusa e sempre di uno splendido rosa acceso.
Lei si accorse che la fissavo proprio lì.
“E’ tutto il pomeriggio che me la guardi”, mi disse.
Alzai gli occhi ed incrociai il suo sguardo.
Mi avvicinai e le diedi un bacio, sulla bocca.
Mi soffermai sulle sue labbra molto di più di quanto avesse fatto lei la volta precedente.
Lei schiuse le labbra. Io pure.
Le lingue non avevano più ostacoli.
Ma nessuna delle due uscì dalla sua tana.
Forse ciascuna di noi aspettava e sperava che lo facesse l’altra per prima.
Non successe.
“Grazie di tutto, Elena. Ora vado”, le dissi, allontanandomi dal suo viso e da lei.
Uscii sul pianerottolo e mi chiusi la porta alle spalle.
Mi poggiai con le spalle al muro.
Chiusi gli occhi e ripensai a quanto era successo dentro quella casa.
Non sono lesbica.
Avevo un lago in mezzo alle gambe, i capezzoli induriti e doloranti e le farfalle nella pancia.
Mi maledissi per non aver preso l’iniziativa.
Maledissi Elena per non aver fatto altrettanto.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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